Quasi Cubi

“Non sono pittore, ne scultore; sono artista spaziale”. Così diceva Lucio Fontana.
In un tempo non molto lontano io credevo di essere un pittore perché usavo i pennelli. Poi sono diventato un pittore che fa opere in pietra e per questo vengo confuso tra gli scultori. Quello che è certo è che non sono uno scultore; ma oggi ho seri dubbi pure sull’appellativo di pittore. Ma si sa, le cose al mondo devono avere un nome, devono essere etichettate, altrimenti il mondo si confonde.
Allora diciamo pure che le opere che vedete in questa serie sono sculture; per quanto possa valere io preferisco definirle opere tridimensionali, anche e soprattutto per rispetto al mestiere dello scultore, campo in cui non ho discernimento.
Il mio lavoro è fare arte, creare nuove esperienze visive, dar da mangiare all’Estetica. In questa dimensione empirica nella mia mente è nata l’idea di queste “sculture” cubiche, anzi, quasi cubiche, per risolvere a mio modo il “tutto tondo”, come Pomodoro ha fatto con le sue sfere. Parliamo di Quasi Cubi perché le facce differiscono, volutamente, di qualche millimetro, un centimetro al massimo, creando una situazione quasi impercettibile all’occhio. Nelle mie opere pervade un senso di “imperfezione ricercata”, perché nulla è perfetto o perfettamente simmetrico al mondo. È la natura stessa a essere perfettamente imperfetta.
Inoltre nell’idea del cubo esiste il fatto che questo debba poggiare su una delle sue sei facce. Il Cubo nasce secondo una visione tridimensionale e ogni faccia ha eguale rilevanza; anche nel caso non presenti interventi decorativi è funzionale all’opera nello stesso peso delle altre. Sta quindi all’osservatore decidere quale lato sacrificare e scegliere la proiezione dell’oggetto più consona al suo senso estetico.
In questo modo l’opera vive di vita propria dando allo spettatore il potere di creare una visione sua, più personale; perché se è vero che le opere hanno un’anima, anche per loro vale il principio Pirandelliano che siamo “uno, nessuno, centomila”.